Tendinopatia, comprenderne le cause e prevenirla

In breve

Tendini e tendinopatia, di cosa si tratta 

Le articolazioni del corpo umano sono infatti formate da: 

  • muscoli 
  • ossa 
  • tendini  
  • legamenti 

I tendini sono strutture indispensabili al movimento, poiché trasferiscono l’energia meccanica espressa dal tessuto muscolare alle ossa; sono caratterizzate dalla presenza di due giunzioni: quella osteo-tendinea (entesi), e quella muscolo-tendinea

Ogni volta che il muscolo si contrae, soprattutto in caso di attività fisica intensa, tutte le strutture dell’apparato locomotore vengono regolarmente sottoposte a stress, a volte ai limiti della loro resistenza; il segmento più sensibile al sovraccarico funzionale è proprio quello tendineo, che assorbe l’energia cinetica muscolare e la trasmette, distribuendola e graduandone le sollecitazioni, al segmento osseo relativo.  

I tendini sono organi a basso tenore metabolico, addirittura 7,5 volte più basso rispetto ai muscoli, cui sono strettamente legati. Infatti, sul tendine pesa tutta la forza generata dal muscolo, e, per questo, è necessario che la struttura sia dotata di caratteristiche di robustezza e resistenza.  

La struttura del tendine: come si arriva alla tendinopatia?

Anatomicamente, il tendine è un tessuto connettivo principalmente costituito da un’abbondante matrice extracellulare formata per la maggior parte da fibre collagene di tipo I (70%), da un’esigua quantità di fibre elastiche (2%) e per la restante quota da poche cellule, i tenociti che producono le fibre collagene, vasi sanguigni e acqua. La loro composizione è simile a quella dei legamenti, ma le loro funzioni sono nettamente distinte: mentre i tendini connettono i muscoli alle ossa, i legamenti tengono ancorate assieme due ossa vicine.  

Il collagene è la più abbondante proteina di tutti i mammiferi e arriva a rappresentare fino al 35% delle proteine dell’organismo umano. Il tendine, grazie alle fibre di collagene, possiede una grande forza meccanica, ma ha scarsa elasticità, è perciò destinato a far fronte principalmente a carichi di tensione ma non a sopportare le forze elastiche e di compressione. Il continuo processo di rinnovamento cellulare permette al tendine di adattarsi gradualmente ai diversi carichi di lavoro, ma in caso di danno o di rottura, la capacità di rigenerazione è molto lenta a causa della scarsa vascolarizzazione.  

Infatti, i tendini, fisiologicamente, sono meno vascolarizzati rispetto alle altre strutture dell’apparato muscolo-scheletrico, come per esempio i muscoli. Tale vascolarizzazione è comunque sufficiente per garantire un’idonea perfusione dei tendini e, allo stesso tempo, conferire un’elevata resistenza alla tensione e ai carichi ripetuti e prolungati.  

La lunghezza del tendine è in relazione con quella del muscolo e con l’ampiezza del movimento che si svolge nell’articolazione corrispondente: più è ampio il movimento, più aumenterà la lunghezza del tendine. Lo spessore è, invece, in rapporto diretto con il diametro muscolare; ad un muscolo più largo (e quindi a una forza di contrazione maggiore) corrisponderà un tendine più spesso (perciò più resistente). 

I tendini sono formati principalmente da Collagene di tipo I (la forma più resistente e matura) e in minor parte dal Collagene di tipo III (la forma più instabile). L’alterazione e il deterioramento delle fibre di collagene causa una modifica nel comportamento dei tendini che, perdendo elasticità e resistenza, diventeranno sempre più soggetti al rischio di lesioni, strappi o rotture. In questi casi, il tendine non sarà più in grado di eseguire il movimento generato dalla contrazione muscolare. 

Infatti, a seguito di un infortunio, nelle prime fasi si osserva una maggiore sintesi di Collagene di tipo III, che solo successivamente – se tutto procede correttamente – verrà sostituito dal Collagene di tipo I, più maturo e resistente. 

Questa situazione si verifica anche fisiologicamente, poiché con l’avanzare dell’età cresce la porzione di collagene di tipo III rispetto a quello di tipo I, quindi i tendini risulteranno più fragili e più predisposti alla rottura. Per quanto siano robusti, i tendini hanno una scarsa capacità di rigenerazione: una volta lesi, le loro cellule hanno bisogno di tempi molto lunghi per riparare i danni a causa della scarsa vascolarizzazione.  

L’alterazione e il deterioramento delle fibre di collagene provoca una modifica nel comportamento dei tendini che, perdendo elasticità e resistenza, diventeranno sempre più soggetti al rischio di nuove lesioni, strappi o rotture.  In questi casi il tendine non sarà più in grado di eseguire il movimento generato dalla contrazione muscolare. 

tendinopatia come ci si arriva

La tendinopatia: il tendine che soffre  

La tendinopatia, letteralmente sofferenza del tendine, riconosce tre cardini fisiopatologici:  

  • ridotta perfusione ematica (ipossia),  
  • infiammazione
  • degenerazione delle fibre collagene 

È importante sottolineare come l’ipossia rappresenti un fattore critico per l’innesco delle tendinopatie poiché promuove la sintesi di collagene di tipo III e stimola la produzione di molecole proinfiammatorie, di metalloproteasi e di sostanze ad attività apoptotica. 

L’Ossido Nitrico (NO) è un importante messaggero fisiologico prodotto dell’endotelio vascolare ed è responsabile del mantenimento del flusso ematico distrettuale. Risulta coinvolto in un’ampia gamma di funzioni regolatorie quali: respirazione mitocondriale, omeostasi di glucosio e calcio (Ca+), contrazione del muscolo scheletrico e risposta alla fatica muscolare.  

Data la sua importanza e la sua breve emivita, che varia da millisecondi a secondi, la produzione continua di NO è essenziale per una corretta ossigenazione dei tessuti. Fino a tempi relativamente recenti, si è creduto che l’ossido nitrico (NO) venisse generato esclusivamente dall’ossidazione del suo precursore, L-arginina, attraverso una reazione catalizzata dall’enzima NO sintasi (NOS), con produzione di nitrati (NO–3) e nitriti. 

Inoltre è stato dimostrato che, oltre alla sua generazione tramite il sistema NOS, le riserve corporee di nitrati e nitriti possono essere aumentate grazie alla dieta, in particolare attraverso il consumo di verdure a foglia verde e barbabietola. In questo modo, si genera un percorso alternativo di produzione di NO, che ne consente la produzione anche in condizioni di bassa disponibilità di ossigeno, situazione limitante per l’attività NOS, enzima ossigeno-dipendente.  

È importante sottolineare che le alterazioni flogistiche, degenerative o traumatiche dei tendini, non rimangono lì confinate, ma nella maggior parte dei casi riguardano anche gli organi limitrofi quali muscolo ed osso.  

Di conseguenza possono insorgere varie patologie, che vengono indicate, genericamente, col termine di tendinopatia, ma a seconda del tipo di manifestazione e dei tessuti coinvolti, possono essere classificate in:  

  • Tendinite: patologia su base infiammatoria a carico dei tendini. Spesso viene utilizzato indifferentemente il temine tendinite e tendinopatia, in realtà il suffisso “ite” implica una condizione infiammatori a carico del tendine, mentre le patologie tendinee croniche sono prive di cellule infiammatorie; 
  • Peritendinite: infiammazione del peritenonio, sottile lamina connettivale a fibre intrecciate che avvolge tutto il tendine; 
  • Entesite (detta anche tenoperiostite o tendinopatia inserzionale): infiammazione che affligge un’entesi, ossia il tratto di un tendine o un legamento che si aggancia su un osso. Il gruppo delle entesopatie comprende sia condizioni in cui c’è una lesione/lacerazione di una o più entesi, sia condizioni in cui c’è un’infiammazione di una o più entesi; 
  • Entesopatia: patologia degenerativa del punto d’inserzione del tendine l’entesi. Gli episodi di entesopatia possono essere il frutto di infortuni traumatici o da sovraccarico funzionale, oppure possono essere la conseguenza di malattie sistemiche, come per esempio l’artrite reumatoide. Di norma, laddove ha sede, un’entesopatia è causa di: dolore, gonfiore, indolenzimento, calore e senso di rigidità; 
  • Tenosinovite: infiammazione della guaina sinoviale al cui interno scorre il tendine (non tutti i tendini ne sono provvisti). Questa guaina si presenta dunque ispessita per fenomeni degenerativi e infiammatori. A causa dell’ispessimento della guaina il tendine può non scorrere bene e quindi verificarsi il cosiddetto “dito a scatto” che interessa i tendini flessori delle dita della mano. La tenosinovite colpisce soprattutto i tendini della mano e del piede, a livello del polso, delle metacarpo falangee e del collo piede; 
  • Tendinosi: La più comune patologia cronico-dolorosa tendinea caratterizzata da modificazioni strutturali del tendine stesso, ovvero: alla degenerazione del collagene, incremento della sostanza di base e neovascolarizzazione, sempre però in assenza di cellule infiammatorie. È una degenerazione cronica del tessuto che colpisce soprattutto gli anziani e chi si sottopone a sforzi eccessivi;  
  • Rottura sottocutanea: è la lesione completa o parziale del tendine.  

Le parti del corpo più a rischio di tendinopatie sono spalle, gomiti, ginocchia, mani, piedi, polsi e caviglie.  

Cosa può provocare una tendinopatia

Nonostante la loro resistenza, è comune che i tendini possano essere esposti a diversi tipi di danni, dai meno gravi ai più severi. Nella maggioranza dei casi le degenerazioni a carico dei tendini sono dovute al sovraccarico funzionale o overuse (eccessiva attività del tendine o sforzo improvviso).  

Esistono comunque dei fattori di rischio che possono aumentare le probabilità di incorrere in una tendinopatia: 

  • presenza di traumi precedenti o sforzi eccessivi e improvvisi
  • sesso (le donne sono maggiormente a rischio); 
  • età avanzata (dopo i 35 anni i tendini sono più vulnerabili); 
  • alimentazione errata
  • sovrappeso o obesità
  • postura scorretta
  • alcune malattie come l’artrite reumatoide, la sclerosi sistemica o il lupus eritematoso

Gli infortuni ai tendini dovuti ad esercizio fisico intenso e prolungato o overuse, sono tra i più comuni nella popolazione degli sportivi. La pratica sportiva eccessiva, in palestra o all’aria aperta, sottopone i tendini ad una condizione di ridotta disponibilità di ossido nitrico ed aumentata produzione di radicali liberi e allo stress ossidativo che ne deriva. 

In caso di overuse, la perfusione ematica fisiologica per risolvere il danno può risultare insufficiente, determinando una situazione di ipossia del tessuto tendineo. Pertanto, negli atleti a rischio di patologia tendinea o con tendinopatie già conclamate, è necessario migliorare –innanzitutto- la perfusione ematica stimolando la produzione di ossido nitrico. 

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I diversi tipi di tendinopatia 

Tendinopatia spalla 

La tendinopatia alla spalla è un disturbo piuttosto frequente e molto doloroso. Generalmente avviene a causa di un’infiammazione che colpisce i tendini che si trovano a ridosso della cuffia dei rotatori e può essere di origine traumatica oppure di origine degenerativa.  

La cuffia dei rotatori è l’insieme dei tendini e muscoli che ha lo scopo di stabilizzare l’articolazione tra l’omero e la scapola. In generale, questa struttura è fra le più delicate della spalla ed è soggetta a lesioni o danni. Può colpire sia i giovani, per esempio chi pratica pallavolo, nuoto, tennis, sia le persone più avanti con l’età: di solito è la causa più frequente di dolore alla spalla

In alcuni casi, si può verificare la tendinopatia calcifica della spalla, che è una patologia dolorosa caratterizzata dalla presenza di depositi di calcio a livello dei tendini della cuffia dei rotatori. Studi epidemiologici hanno dimostrato che i soggetti maggiormente interessati da questo tipo di disturbo sono gli over 30, con particolare riferimento alla fascia che va dai 30 ai 50 anni.  

I depositi di calcio alimentano lo stato infiammatorio del tendine innescando un circolo vizioso che conduce ad ulteriore precipitazione di sali di calcio. Si documenta una frequenza più elevata nel sesso femminile in particolare tra le casalinghe. Alcune persone sembrano essere maggiormente predisposte di altre all’insorgenza di tendinopatia calcifica di spalla: si tratta di soggetti affetti da patologie endocrine e/o dismetaboliche (malattie tiroidee, disordini ormonali, diabete mellito); situazioni correlate alla reiterazione di gesti legati all’attività lavorativa o sportiva che provocano microtraumi a livelli dei tendini; pazienti con pregresse lesioni della cuffia dei rotatori.  

È stato documentato che un fattore critico per l’insorgenza della tendinopatia calcifica della spalla è l’ipossia, che determina sofferenza dei tessuti, degenerazione tendinea, microlesioni e infiammazione. Quando l’infiammazione diventa cronica, intervengono dei cambiamenti chimici nel tendine che modificano il pH, con conseguente precipitazione di sali di calcio localmente.I depositi di calcio alimentano lo stato infiammatorio innescando un circolo vizioso che conduce ad ulteriore precipitazione di sali di calcio.  

Per quanto riguarda la localizzazione, il tendine della spalla più colpito è il sovraspinoso, seguono in successione il sottospinoso, il piccolo rotondo e il sottoscapolare, coinvolgendo a volte il capo lungo del bicipite. Anche la borsa sottoacromiale può essere coinvolta, più spesso nella fase di riassorbimento della calcificazione. 

Da un punto di vista diagnostico, l’ecografia rappresenta lo strumento più valido per ottenere una precisa localizzazione e una valutazione dettagliata della struttura. L’ecografia consente di valutare lo stato degli annessi tendinei, di vedere se ci sono delle lesioni tendinee e di visualizzare la forma, la sede e le dimensioni delle calcificazioni. 

La maggior parte dei pazienti possono essere trattati con tecnica conservativa cioè un trattamento non chirurgico. Il trattamento deve tener conto prima di tutto dell’ipossia e quindi è necessario intervenire sulla perfusione sanguigna dei tendini. 

Tendinopatia achillea  

Il tendine d’Achille è il più grande tendine del nostro corpo. Esso collega il muscolo gastrocnemio e il muscolo soleo al calcagno. Questa struttura è molto esposta a diverse condizioni patologiche come l’infiammazione (tendinite achillea) o lacerazione (rottura del tendine d’Achille).  

La tendinopatia achillea è caratterizzata da una combinazione di dolore e gonfiore ed è accompagnata da una ridotta capacità di svolgere attività fisica, soprattutto se questa richiede un sovraccarico. Infatti, la maggior parte delle lesioni a carico del tendine di Achille si verificano in concomitanza di sforzi intensi o prolungati, in particolare durante l’attività sportiva.  

Le cause alla base della tendinopatia achillea sono multifattoriali e molti studi hanno dimostrato che i tendini di Achille subiscono una graduale degenerazione prima di arrivare alla rottura del tendine vera e propria. Alcuni sport come pallavolo, pallacanestro, tennis, corsa, calcetto le tendinopatie, in occasione di salti o scatti possono causare lesioni al tendine di Achille. 

Per la prevenzione delle lesioni a carico del tendine d’Achille è consigliabile riscaldarsi sempre prima di intraprendere l’attività fisica. Inoltre, è importante mantenere un buon tono muscolare, visto che il muscolo fa parte – con l’osso ed il tendine – dell’apparato locomotorio

Tendinopatia rotulea 

Il tendine rotuleo connette la parte inferiore della rotula con quella superiore della tibia e ha la funzione di trasmettere la contrazione del muscolo quadricipite alla tibia per estendere la gamba. L’articolazione del ginocchio è tra le più complesse e delicate dello scheletro umano poiché ha il compito di mantenere in equilibrio il corpo umano armonizzando il movimento di tutti i gruppi muscolari. 

È una patologia molto frequente e i soggetti più a rischio sono gli sportivi che praticano pallavolo, calcio, basket e tennis, ma può interessare anche le persone che trascorrono molte ore in macchina come gli autotrasportatori. Tutte queste situazioni richiedono uno sforzo ripetitivo del muscolo quadricipite che sollecita continuamente il tendine rotuleo. La patologia è più frequente dopo i 30-40 anni.  

La causa principale della tendinopatia rotulea quindi, risiede nella sollecitazione ripetuta del tendine che porta a piccole lesioni, le quali possono degenerare nel tempo. Altre cause possono essere: 

  • disallineamento del femore e della rotula; 
  • rotula alta; 
  • eccessiva rotazione della tibia; 
  • cattiva estensione del muscolo retto-femorale. 

Nella maggioranza dei casi, il sintomo principale è un dolore tipico di uno stato infiammatorio, localizzato nella parte anteriore del ginocchio che si manifesta dopo uno sforzo prolungato (come un allenamento specifico del quadricipite) oppure a seguito del mantenimento della stessa posizione per molto tempo (ad esempio inginocchiati a lungo).  

Tendinopatia adduttori 

Gli adduttori sono i muscoli grandi che consentono di avvicinare un arto all’asse mediano del corpo. La coscia ha tre adduttori principali: lungo, breve e grande

La tendinopatia (o tendinite) degli adduttori è quella che in gergo viene definita “sindrome degli adduttori dell’anca” o più spesso “pubalgia”. I calciatori rappresentano una delle categorie più a rischio, poiché effettuano frequenti movimenti di adduzione per calciare il pallone o stopparlo con l’interno del piede. La sindrome colpisce anche chi pratica tennis, basket o pallamano. Nel tennis, ad esempio, i muscoli adduttori sono sottoposti continuamente a forti contrazioni durante le rapide accelerazioni, i movimenti laterali, gli arresti improvvisi e i cambi di direzione. 

La tendinopatia, in questi casi può dipendere da un inadeguato allenamento, scarso riscaldamento, mancanza di una preparazione personalizzata, assenza di misure per rafforzare i muscoli. 

Epicondilite 

L’epicondilite (più precisamente detta epicondilalgia), conosciuta anche come il gomito del tennista, è una patologia che a dispetto del nome, non colpisce solo i giocatori di tennis, ma anche tutti coloro che svolgono attività lavorative e sportive che richiedono un uso costante e ripetitivo del braccio.  

L’epicondilite è una forma di tendinopatia degenerativa e microtraumatica, che colpisce i tendini connessi all’epicondilo laterale, situato nella parte esterna dell’articolazione del gomito. Questi tendini appartengono al muscolo estensore radiale breve del carpo, che connette il gomito con il polso e permette la chiusura della mano a pugno.  

L’epicondilo è un distretto anatomico che si trova all’altezza dell’articolazione del gomito: è facilmente individuabile piegando il gomito a 90° e ruotando la mano ponendo il palmo verso il basso. L’area sopra il gomito, è quella interessata dall’epicondilite. 

L’epicondilite è detta anche “gomito del tennista” perché è un disturbo tipico di chi gioca a tennis. Infatti, il tennista afferrando ripetutamente la racchetta e stringendola, sovraccarica il gomito. Tuttavia, questi disturbi non riguardano solo i tennisti ma tutti coloro che sollecitano i tendini, con qualsiasi movimento del polso e della mano, anche il più semplice e ripetitivo. 

Le cause di questa tendinopatia possono essere di 2 tipi: 

Microtraumatismi in conseguenza a movimenti ripetitivi, sportivi o lavorativi; 

Eventi acuti: traumi diretti con successiva infiammazione dell’inserzione tendinea di questi muscoli al gomito. 

Qualunque sia la causa, la patologia si presenta sempre con un’iniziale infiammazione dei tendini attaccati agli epicondili laterali o esterni, cui si associa dolore dalla parte esterna del gomito fino all’avambraccio e al polso. 

Come detto già detto, le vittime non sono solo i tennisti, ma anche coloro che svolgono attività lavorativa che richiede l’uso ripetitivo dei muscoli dell’avambraccio: pittori, falegnami ma anche cuochi, pianisti e scrittori che usano la tastiera. Il disturbo interessa soprattutto le persone tra i 30 e i 50 anni.  

In alcuni casi, il dolore può manifestarsi anche quando il braccio è a riposo. La mano è un arto fondamentale, quindi spesso è impossibile metterla davvero a riposo e, di conseguenza, i tendini infiammati hanno difficoltà a guarire. 

Il sintomo tipico dell’epicondilite è il dolore nella parte esterna del gomito. L’epicondilite ha un decorso lento ad insorgenza subdola, poiché si manifesta con dolore in seguito all’uso combinato di mano, polso e gomito. Viene avvertito dapprima come una sensazione di stanchezza, fino ad aumentare progressivamente. Solitamente, la sintomatologia si aggrava se il gomito non viene mantenuto a riposo, fino ad arrivare ad una vera e propria impotenza funzionale antalgica (tenere una racchetta, girare una chiave, agitare le mani etc…). 

Tra i sintomi più ricorrenti: 

il dolore che si irradia dalla parte esterna del gomito fino all’avambraccio e al polso (nei casi di gomito in movimento o a riposo, uso del polso o della mano), che si può aggravare la sera al termine della giornata lavorativa; 

debolezza dell’avambraccio

incapacità di tenere oggetti in mano

difficoltà ad estendere il polso

dolori tendinopatia

I sintomi comuni della tendinopatia

Il sintomo principale della tendinopatia è il dolore della zona colpita: aumenta con il movimento e può essere accompagnato da gonfiore o tumefazione. Il dolore può essere presente anche senza toccare la parte interessata, oppure dopo una palpitazione del tendine o contrazione muscolare. Deriva dall’infiammazione della parte peritendinea a cui possono aggiungersi anche gonfiore e arrossamento.

  • Sintomi della tendinopatia calcifica della spalla: clinicamente, la patologia evolve attraverso tre stadi di dolore: acuto, sub-acuto, cronico.  

Il dolore acuto è in genere dovuto allo spasmo muscolare e a un’eventuale rigidità della spalla, può accentuarsi durante la notte e coinvolgere il capo lungo del bicipite. Il dolore viene percepito in corrispondenza della faccia anteriore o laterale della spalla, non si irradia oltre il gomito e non si estende al collo. Si acuisce durante il sollevamento del braccio e si accompagna ad una ridotta mobilità della spalla.  

Si possono sostanzialmente distinguere due fasi di malattia: una fase di formazione e una fase di riassorbimento delle calcificazioni. Nel corso della prima fase, le cellule tendinee si modificano trasformandosi in cellule produttrici di calcio; nel corso della fase di riassorbimento (quella più dolorosa), il deposito di calcio assume una consistenza che possiamo paragonare a quella di un dentifricio. 

  • Sintomi della tendinopatia achillea: solitamente, il sintomo si avverte con un lieve dolore nella parte posteriore del tallone dopo la corsa o l’attività sportiva. I sintomi comuni includono: dolore al tallone e gonfiore nella parte posteriore del tallone, ispessimento del tendine, limitazione del movimento durante la flessione del piede e in più l’area intorno al tallone può risultare calda e sensibile al tatto. 
  • Sintomi della tendinopatia rotulea: dolore localizzato nella parte anteriore del ginocchio,che si manifesta dopo uno sforzo prolungato oppure a seguito del mantenimento della stessa posizione per molto tempo. Il dolore talvolta è associato a gonfiore, calore e arrossamento locale.  Quando la tendinopatia rotulea è in fase iniziale, il dolore tende a scomparire “in modo subdolo”dopo la fase di riscaldamento, oppure a seguito di un periodo di riposo. Con il passare del tempo e con il peggioramento della patologia, il dolore interferisce con la normale attività fisica e, infine, compare anche a riposo.  
  • Sintomi della tendinopatia degli adduttori: l’infiammazione che si manifesta in questi casi causa il dolore e la difficoltà nei movimenti che richiedono la contrazione degli adduttori. In particolare, la sintomatologia dolorosa si avverte nel calciare o passare la palla con l’interno del piede, nello “stringere” le ginocchia, negli scatti improvvisi e nei movimenti laterali. In una prima fase del disturbo, si avverte solo un fastidio, quando si arriva agli stadi più avanzati il dolore può essere lancinante e insopportabile e può presentarsi anche a riposo.  
  • Sintomi dell’epicondilite: il dolore nella parte esterna del gomito è il sintomo più tipico e può peggiorare durante la sera. L’epicondilite ha un decorso lento, poiché si manifesta con dolore in seguito all’uso combinato di mano, polso e gomito.  

Viene avvertito dapprima come una sensazione di stanchezza, fino ad aumentare progressivamente. Solitamente, la sintomatologia si aggrava se il gomito non viene mantenuto a riposo, fino ad arrivare ad una vera e propria impotenza funzionale antalgica.

I tempi di una tendinopatia, come si sviluppa  

I tempi di guarigione di una tendinite sono molto variabili, a seconda anche del tendine interessato ma soprattutto dalle caratteristiche dell’infiammazione. In generale, una prima tendinite acuta o un semplice sovraccarico, se correttamente gestite, si risolvono in 2-3 settimane.  

Molto spesso, però, l’autogestione in questa fase iniziale non è ottimale, quindi l’atleta si porta dietro il disturbo anche per settimane. Questo produce una serie di effetti negativi, sia sul tendine, che invece di guarire rischia di degenerare, che sulla qualità del movimento, dal momento in cui ogni persona che ha dolore mette in atto una serie di adattamenti biomeccanici per poter sentire meno dolore e continuare le proprie attività (chiamati compensi). 

Le forme di tendinopatia più complesse o croniche i tempi possono essere più lunghi: dai 3-4 mesi, anche oltre i sei mesi (ma dipende sempre dall’entità del danno al tendine), in seguito a intervento chirurgico e successiva riabilitazione.  

Di norma, per la diagnosi di una tendinopatia è necessario che il medico ortopedico o il fisiatra prestino attenzione ai sintomi riportati dal paziente, effettuino l’esame obiettivo e l’anamnesi. Talvolta, potrebbero rendersi necessari anche esami di diagnostica per immagini, e, qualora sussista il sospetto di una qualche malattia sistemica, esami del sangue

Alcuni suggerimenti per prevenire la tendinopatia  

Si può prevenire la tendinopatia controllando il proprio peso corporeo (soprattutto per prevenire le tendinopatie della parte inferiore del busto) e svolgendo una leggera e costante attività fisica. In secondo luogo, osservando alcuni comportamenti virtuosi durante lo svolgimento della propria attività lavorativa o quello dell’attività sportiva

Per gli sportivi, è utile seguire alcuni efficaci consigli da mettere in pratica sul campo per prevenire le tendinopatie: 

  • fare riscaldamento prima dell’attività sportiva; 
  • fare stretching, con esercizi mirati, dopo l’attività sportiva; 
  • migliorare la tonificazione muscolare; 
  • modulare i diversi carichi di allenamento
  • assumere una postura adeguata; 
  • tenere i polsi dritti quando si sollevano pesi, in modo da far lavorare i muscoli dell’avambraccio superiore, anziché quelli dell’avambraccio inferiore (più piccoli e meno potenti). 
  • può essere utile anche non svolgere attività fisica nelle due/tre ore successive ai pasti e bere tanta acqua, in modo da reintegrare i sali minerali persi.  
tendinopatia prevenzione

Come trattare una tendinopatia nel modo giusto 

Nei casi più lievi, è raccomandato il riposo per due settimane e ghiaccio per 3-4 giorni per 40 min, 3-4 volte al giorno. In aggiunta, potrebbe essere utile un trattamento fisioterapico con: ultrasuono, ionoforesi, tecarterapia, laser. Nei casi più gravi (rottura), si può ricorrere all’intervento chirurgico.  

È possibile, in caso di tendinopatia lieve da sovraccarico, in associazione alla riabilitazione, o in caso di intervento nel periodo post-chirurgico, ricorrere ad una terapia di fondo con integratori alimentari, che possono limitare il processo infiammatorio, migliorare il microcircolo ematico (e quindi l’apporto di nutrienti al tendine) e favorire il graduale ripristino dell’ultrastruttura tendinea, ma non solo. 

È importante, infatti, guardare al tendine e alla sua guarigione, ma, allo stesso tempo, bisogna considerarlo un elemento di una struttura più grande, che prende il nome di organo osteoarticolare, che comprende anche muscolo e osso. 

Tra gli attivi più accreditati nel trattamento di queste problematiche troviamo: 

  • L-Arginina alfa chetoglutarato. L’arginina è un aminoacido semi-essenziale per l’uomo, questo vuol dire che, se non assunto con la dieta, il nostro organismo è in grado di sintetizzarlo endogenamente in caso di carenza. Il ruolo dell’arginina è fondamentale in caso di ipossia, poiché è il precursore dell’ossido nitrico. Di conseguenza, incrementare le riserve dell’amminoacido L-arginina, è uno degli approcci vincenti per velocizzare la riparazione e la ripresa dei tendini sofferenti; 
  • TruBeet® è una formula brevettata ad alto contenuto di nitrati naturali, estratti dalla barbabietola. La sua assunzione, facilita la produzione di NO (ossido nitrico) nei tessuti che si trovano in situazioni di ipossia: ad esempio, i tendini in caso di overuse e i muscoli durante l’esercizio fisico intenso. Inoltre, è stato documentato che il miglioramento della biodisponibilità di NO influenza la funzione muscolare e la prestazione fisica, perché riduce il costo dell’ossigeno nella sintesi di ATP e aumenta il recupero della fosfocreatina muscolare (PCr) in situazioni ipossiche; 
  • MetilSulfonilMetano (o MSM) è un donatore di zolfo. Lo zolfo è un elemento fondamentale per il nostro organismo: si trova con una concentrazione elevata nei tessuti connettivi, come le articolazioni e i tendini, poiché aiuta a mantenere la stabilità del collagene e dell’acido ialuronico.  Diversi studi hanno evidenziato il suo ruolo in caso di infiammazione: è stato dimostrato che l’MSM riduce la formazione delle citochine pro-infiammatorie come il TNF-alfa (Tumor Necrosis Factor alfa). Inoltre, l’integrazione di MSM supporta il metabolismo del fegato, perché dona lo zolfo utile per formare il glutatione, una sostanza antiossidante endogena coinvolta nei meccanismi di detossificazione dell’organismo;   
  • L’OptiMSM® è un brevetto, la forma più pura, più attiva e meno tossica dell’MSM. Infatti, il processo produttivo dell’OptiMSM® è caratterizzato da quattro distillazioni consecutive capaci di formare una polvere con caratteristiche ottimali: ottimo assorbimento e mancanza di effetti indesiderati; 
  • Vinitrox®: attivo unico caratterizzato da un’associazione sinergica tra i polifenoli dell’uva e delle mele. Questo attivo ha la capacità di aumentare l’attività dell’ossido nitrico sintasi, enzima che produce ossido nitrico. Così facendo aumenterà l’apporto di ossigeno ai tessuti; 
  • Collagene di tipo I: costituente principale dei tendini sani. In particolare, con l’avanzare dell’età o in caso di tendinopatie, è importante intervenire con la somministrazione esogena di un’adeguata quantità di Collagene di tipo I, al fine di promuovere la sintesi di nuovo collagene, aumentare la resistenza del tendine, e favorire la rigenerazione connettivale del tendine
  • Vitamina D3: contribuisce al mantenimento della normale funzione muscolare. Infatti, studi in letteratura hanno riportano che la carenza di vitamina D aumenta lo stress ossidativo e altera l’attività degli enzimi antiossidanti nel muscolo scheletrico, portando ad un aumento dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS);  
  • Vitamina C: contribuisce alla normale formazione del collagene, quindi risulta essenziale assumerne in quantità adeguate in caso di tendinopatie.

Fonti

  1. ​​(Dietary Nitrate and Physical Performance Andrew M. Jones, Christopher Thompson, Lee J. Wylie, and Anni Vanhatalo); 
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Tendinopatia, comprenderne le cause e prevenirla

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